Grande interesse hanno suscitato le tesi del sindaco di Catania che, parlando alla Conferenza internazionale nella Central Hall Wenstminster, ha sottolineato da una parte la necessità per 
gli europei di "strapparsi dagli occhi la benda dell'egoismo e recuperare la propria umanità" e dall'altra di fare i conti dalla grande opportunità rappresentata dall'afflusso di persone in 
nazioni afflitte da cali demografici e invecchiamento della popolazione

Una poesia di diciassette versi, uno per ogni lapide del mausoleo eretto nel cimitero di Catania per dare riposo ai migranti annegati nel maggio del 2014 a Lampedusa. Con questi versi del premio nobel nigeriano Wole Soiynka, il sindaco di Catania Enzo Bianco ha voluto chiudere il suo intervento come principale oratore dell'odierna giornata della Conferenza internazionale sui migranti, svoltasi nella Central Hall Westminster a Londra e organizzata da Society of Black Lawyers e Association of Muslim Lawyers. La Conferenza, dal titolo "I migranti hanno un futuro in Europa?", si è articolata in diversi seminari di discussione che hanno acceso i riflettori sull'efficacia dell'azione dell'Europa ma anche sulle storie vissute dai migranti. 

Nel suo appassionato discorso, Bianco ha parlato dello straordinario slancio di umanità dei catanesi nel dare soccorso e accoglienza alle migliaia di migranti salvati nel Mediterraneo, dello sforzo delle istituzioni per dare a tutti una dignitosa assistenza e della pietà per quegli uomini, donne a bambini che, fuggendo da guerre e fame, hanno trovato nel Mare nostrum la morte anziché la libertà. E ha parlato della Sicilia, che, da terra d'emigrazione è diventata terra d'immigrazione. Un anello di congiunzione tra le due culture. 

"Noi siamo e ci sentiamo - ha spiegato - sia parte essenziale del Mediterraneo, delle grandi civiltà che hanno segnato la storia dell'uomo, sia, insieme, orgogliosamente cittadini europei".

Ma Bianco, che è anche presidente del Consiglio nazionale dell'Anci e capo della delegazione italiana al Comitato delle Regioni dell'Ue, non ha mancato di sottolineare da una parte la straordinaria reazione dell'Italia dei Comuni e dall'altra i ritardi dell'Europa nell'affrontare un fenomeno senza precedenti e che durerà per molti anni ancora. Una migrazione di massa quale mai i tempi moderni hanno conosciuto.
"Ci sono volute - ha detto - immani tragedie, migliaia di persone annegate nel Canale di Sicilia, agghiaccianti morti di bambini per svegliare alcuni governi e convincerli a strapparsi dagli occhi la benda dell'egoismo e recuperare la propria umanità".

Interesse ha destato la tesi di Bianco, secondo il quale, per affrontare il fenomeno occorre un concorso d’azioni: agire nei paesi di provenienza, creare corridoi umanitari per i richiedenti asilo, contrastare il traffico di esseri umani, rafforzare la legislazione e la cooperazione europea considerando le coste mediterranee dei Paesi Ue confini dell’Unione, rivedere Dublino, cooperare con i Paesi più poveri del Continente Africano. 

Per il Sindaco di Catania però, l'immigrazione, pur ponendo sfide e problemi, deve essere vista come una grande opportunità per un'Europa che perde abitanti (secondo i dati occorrerebbero 42 milioni di nuovi europei entro il 2020). E in queste nazioni afflitte da cali demografici e invecchiamento della popolazione occorre deve avere "maggiore fiducia nella forza della 
propria identità e cultura".

Oltre a quello di Bianco, particolarmente interessante il panel delle testimonianze dei Rifugiati, in cui sono intervenuti, tra gli altri, il giudice Khurshid Drabu, il giovane siriano Hassan, Esohe Agathise, i medici Yasmeen Hasnain, e Tanveer Choudhary e il giornalista di Sky News Toby Sculthorp.

Diverse le soluzioni tracciate nelle soluzioni umanitarie dal religioso Steven Saxby, e dai rappresentanti delle associazioni umanitarie e dei rifugiati.

La giornata si è poi conclusa tracciando il possibile futuro per migranti e rifugiati che approdano sulle rive del vecchio Continente.

 

 

 

 

 

Migranti: il discorso di Enzo Bianco

Ecco il testo integrale dell'intervento pronunciato dal sindaco di Catania nella Central Hall Westminster a Londra durante Conferenza internazionale dal titolo "I migranti hanno un futuro  in Europa?" organizzata da Society of Black Lawyers e Association of Muslim Lawyers
Le migrazioni dureranno ancora per molti anni. Molti governi e la stessa Unione Europea hanno la responsabilità di aver sottovalutato per lungo tempo il fenomeno, trattandolo come  un’emergenza.

Forte è stato ed è il timore delle reazioni di un elettorato sempre più vecchio e impaurito, incapace di accettare la realtà fino al punto da mostrarsi,in alcuni settori, xenofobo. 
Oggi nel mondo sono oltre 250 milioni le persone che vivono in un Paese diverso da quello in cui sono nati. Una cifra enorme. E i rifugiati sono 60 milioni e rappresentano, di fatto, la ventiquattresima nazione del mondo.

La sensazione è che molti, in Europa, vivano questa realtà come un autentico assedio.
Ma la gigantesca migrazione nel nostro mare è altro: è fuga da guerre, da dittature, da disperazione, da fame. 
Io sono il sindaco di una città dominata dal vulcano Etna, al Centro del Mediterraneo. In questi giorni le immagini fantastiche di una spettacolare eruzione hanno fatto il giro delle televisioni e dei social network. 

Con il fuoco delle sue eruzioni visibili di notte da molte miglia, l’Etna, fin dalla preistoria, ha guidato verso la ruvida costa di Catania marinai salpati su rudimentali imbarcazioni, da ogni sponda del Mare nostrum.

Questo faro naturale continua ancor oggi a condurre verso la mia Città migliaia di migranti sospinti sulle nostre coste dalla disperazione o salvati dalle nostre navi. Chi ha viaggiato su questi barconi ha visto spesso morire decine di compagni di viaggio, a volte figli, sorelle, genitori. Ed è approdato al confine dell’Europa, ossia alle coste della Sicilia, inseguendo una speranza, il sogno di una vita dignitosa.
C’è un termine arabo, miskìn, la cui radice ritroviamo in diverse lingue, dal turco al portoghese, dallo spagnolo al francese, all’italiano. 
In Siciliano “mischinu” indica una persona ridotta alla miseria più assoluta, senza più nulla da perdere se non la propria stessa vita. Una chiave per comprendere il fenomeno che stiamo vivendo: la più grande migrazione di massa della storia dell’Uomo che ha origine nella fuga dalla guerra, dalla fame, dalla morte.

Nessuno può negare che ci siano problemi veri legati alla sicurezza delle nostre città. E che accogliere con dignità i richiedenti asilo non può e non deve essere fatto a scapito della sicurezza dei nostri Paesi. I recenti drammatici attentati di Parigi dimostrano peraltro che la quasi totalità degli attentatori proveniva dalle nostre stesse città, uomini arruolati negli odi dei nostri quartieri.
Eppure molti in Europa rifiutano di accettare questa semplice realtà. Qualcuno ancora oggi continua a proporre i cosiddetti “respingimenti”. La curiosa teoria secondo cui con un maggior rigore alle frontiere si salverebbero le vite dei migranti, rimasti “a casa loro”. Ossia in un luogo in cui rischiavano di essere uccisi o di veder morire di fame i propri figli. 
Questa bizzarra teoria è accompagnata spesso dal consueto meccanismo della creazione di un pregiudizio razziale e religioso che ha radici antiche.
Ci sono volute immani tragedie, migliaia di persone annegate nel Canale di Sicilia, agghiaccianti morti di bambini per svegliare alcuni governi e convincerli a strapparsi dagli occhi la benda dell’egoismo e recuperare la propria umanità.
La crisi economica, tra l’altro, contribuisce a rendere preoccupata l’opinione pubblica e i media acuiscono emozioni negative tipiche delle popolazioni invecchiate che non riescono ad avere fiducia nel domani.
Eppure, se solo si riuscisse ad avere una visione del futuro meno spaventata, comprenderemmo che possiamo scegliere se trattare il fenomeno delle migrazioni come un problema irresolubile oppure come un problema delicato e complesso che è anche una vera opportunità per i nostri paesi.
Facciamo l’esempio dell’Italia, dove vivono cinque milioni di stranieri, l’8,3% della popolazione. Lavorando, questi italiani nati non in Italia, producono ogni anno per il nostro Paese 125 miliardi di euro, ossia l’8,6% del Pil. Cosicché questi stranieri, giovani e giunti nel nostro Paese in cerca di un futuro migliore, riescono a pagare le pensioni di 620.000 anziani italiani.

Dobbiamo renderci conto che quello dei Paesi a popolazione declinante è, per l’Europa, un problema assai serio, più serio di quello delle paure di assedio, del panico da invasione. È davvero una questione da cui dipende il futuro del nostro Continente.
Facendo un calcolo a spanne, Leonid Bershidsky, su Bloomberg, ha calcolato che l'Europa avrebbe bisogno di 42 milioni di nuovi europei entro il 2020 e di 250 milioni nel 2060. Non è per caso che ci da una mano quegli uomini e quelle donne, fra i 20 e i 40 anni, spesso con figli al seguito, che rischiano la vita affrontando terribili viaggi verso la loro terra promessa?
Noi europei dobbiamo avere una maggiore fiducia nella forza della nostra identità, nella nostra cultura. È questo che ci rende attraenti: ciò che siamo prima che ciò che possediamo. Sono i nostri valori di libertà, di uguaglianza, di tolleranza, di solidarietà, di umanità a farci grandi agli occhi di chi fugge da guerre e fame.Certo, per affrontare il fenomeno e regolamentarlo in modo serio occorre un concorso d’azioni: anzitutto agire nei paesi di provenienza; creare corridoi umanitari per i richiedenti asilo; 
contrastare efficacemente e senza esitazioni il traffico di esseri umani; rafforzare la legislazione e la cooperazione Europea in queste materie; considerare le coste mediterranee dei Paesi Europei confini dell’Unione, non solo della Spagna o dell’Italia; rivedere Dublino; cooperare con i paesi più poveri del Continente Africano.
E soprattutto creare regole sostenibili per i territori: da ministro dell’Interno nel mio paese nel 2000 avevo proposto delle quote per ogni Paese in base alla capacità di integrazione e firmato decine di accordi di cooperazione con i Paesi di provenienza dei migranti.
Si tratta di un compito difficilissimo, certo, ma alla nostra portata. E un esempio, in questo senso, ci viene proprio dalla Gran Bretagna: qui, nonostante l’emergere di conflitti, è innegabile che un’importante opera di integrazione sia stata compiuta. 
Noi siciliani, che migranti siamo stati, sappiamo che si può mantenere la propria identità culturale ed essere sinceri e fedeli cittadini di un’altra Nazione.
Ma la Sicilia, come dicevo, da terra d’emigrazione è diventata terra d’immigrazione. Noi siamo e ci sentiamo, nello stesso momento, parte essenziale del Mediterraneo, delle grandi Civiltà 
che hanno segnato la storia dell’uomo ed insieme orgogliosamente cittadini europei.
Come, dunque, avremmo potuto rifiutarci di tendere la mano a chi chiede aiuto?
Certo tutto questo ha comportato grandi sacrifici per la mia città. Pensate soltanto alla pressione sui servizi pubblici, alle palestre sottratte ai nostri ragazzi per dare un tetto ai migranti.
Eppure tutti si sono mossi, a cominciare dalle associazioni di volontariato che hanno rappresentato la nostra arma vincente. Chi donava indumenti, chi cibo, chi giocattoli per i bambini. Chi un fiore da mettere su una tomba. Perché a Catania non sono arrivati solo i vivi, ma anche tanti morti.

Il Mausoleo che abbiamo realizzato nel Cimitero di Catania è diventato un simbolo di questa immane tragedia. Da ogni parte d’Europa sono giunti a visitarlo deputati e rappresentanti di organizzazioni umanitarie internazionali. 
A loro racconto dell’emozione da me provata nel trovarmi a contatto con quelle prime diciassette bare, due delle quali piccolissime. Mi ripugnava l’idea che sulle lapidi non poteva esserci scritto alcun nome. Un amico mi suggerì una poesia del premio Nobel nigeriano Wole Soyinka, “Migrante”. L’avevo letta durante il funerale multireligioso celebrato a Catania, celebrato dal vescovo cattolico, dall’Imam di Sicilia, dal prete Coopto. I versi erano diciassette, esattamente come il numero delle tombe.

Vorrei leggervela questa poesia.

“Ci sarà il sole? O la pioggia ? O nevischio?
Madido come il sorriso posticcio del doganiere?
Dove mi vomiterà l’ultimo tunnel anfibio? Nessuno sa il mio nome.
Tante mani attendono la prima rimessa, a casa. Ci sarà?
Il domani viene e va, giorni da relitti di spiaggia.
Forse mi indosserai alghe cucite su falsi di stilisti con marche invisibili.
Fabbriche in nero. O souvenir sgargianti, distanti ma che ci legano.
Manufatti migranti, orologi contraffatti.
L’uno con l’altro, su marciapiedi senza volto.
I tappeti invogliano, ma nessuna scritta dice: Benvenuti.
Conchiglie di ciprea, coralli, scogliere di gesso.
Tutti una cosa sola al margine degli elementi.
Banchi di sabbia seguono i miei passi.
Banchi di sabbia di deserto. Di sindoni incise dal fondo marino
Poiché alcuni se ne sono andati così, prima di ricevere una risposta? 
Ci sarà il sole? O la pioggia ?
Siamo approdati alla baia dei sogni.”