Quinziano, non appena la vide, fu rapito dalla sua bellezza. Un ardore passionale lo invase, ma i suoi tentativi di seduzione furono tutti vani, perché Agata lo respinse sempre con grande fermezza. Il proconsole pensò allora che un programma di rieducazione avrebbe potuto trasformare la giovane e l’avrebbe convinta a rinunciare ai voti e a cedere alle sue lusinghe. La affidò così per un mese a una cortigiana, una matrona dissoluta, maestra di vizi e di corruzione, che era conosciuta col nome di Afrodisia.

La donna viveva in casa con le sue figlie, nove secondo la tradizione, diaboliche e licenziose almeno quanto lei. Fu il mese più duro e terribile per la giovane Agata. La sua purezza era costretta a subire continui insulti, cattivi esempi e inviti immorali. Per farle dimenticare Gesù, Afrodisia la tentò con ogni mezzo: banchetti, festini, divertimenti di ogni genere, le promise gioielli, ricchezze e schiavi. Ma Agata disprezzava ognuno di questi doni.

Quando lo strumento della persuasione si rivelò incapace a piegare la sua ferrea volontà, Afrodisia e le figlie tentarono di raggiungere lo stesso vile scopo attraverso le minacce. “ Quinziano ti farà uccidere ”, le intimavano. Ma la vergine incorruttibile respingeva ogni proposta, si mostrava insensibile a ogni minaccia, opponeva rifiuti secchi usando parole di fuoco: < Vane sono le vostre promesse, stolte le parole, impotenti te minacce. Sappiate che il mio cuore è fermo come una pietra in Cristo e non cederà mai.

 La giovane Agata fu sempre fedele al suo unico Sposo; a lui offriva le sofferenze che pativa per la fede e giorno dopo giorno la sua anima ne risultava sempre più temprata. Allo scadere del mese e di fronte alla fermezza di Agata, Afrodisia non potè far altro che arrendersi. Sconfitta e umiliata, riconsegnò la giovane a Quinziano: “ Ha la testa più dura della lava dell’Etna, non fa altro che piangere e pregare il suo invisibile Sposo. Sperare da lei un minimo segno d’affetto è soltanto tempo perso ”.